Con questo racconto Renato ci conduce in una giornata militare alpina che si svolge nella zona di Valtournenche – Valle di St. Barthlemy – Fenis.
Chi di noi non si è trovato almeno una volta a pensare come Renato: “Giungono per caso queste giornate no, le giornate in cui, in modo improvviso, ti cade addosso una serie inaspettata di fatti casuali, negativi per l’attività che hai in programma, e tu devi tirarti su le braghe da solo, come si dice in gergo. Nessuno ti ha insegnato come devi comportarti e non hai esperienza in materia, perciò ti affidi all’inventiva e in qualche modo te la cavi. Però, quando si avvicina la sera, non vedi l’ora che giunga il domani perché, per oggi, ne hai avuto abbastanza”.
Inizia così il “racconto degli imprevisti”, uno dopo l’altro, causati da muli e soprattutto da incidenti/accidenti vari.
Spassosissima la descrizione “psicologica” dei viveri che rotolano dalla groppa della Roma (“una mula già anzianotta”) giù per i ripidi prati e fino a valle; “si sono comportati ciascuno secondo la sua natura: le uova, prive di spirito di avventura, si sono fermate subito ed ora mostrano il giallo sfacciato del loro tuorlo sul verde del prato, pronte per fornirci una frittata alle erbe. Le pesche, sono spericolatamente rotolate lontano, in più direzioni, le pagnotte hanno tentato di seguirle”.
E a chi non è accaduto di pensare, dopo aver in qualche modo “messo una pezza” ad un imprevisto non da poco, “… finalmente tutto va come si deve!” salvo poi doversi ricredere perché le coincidenze negative della giornata erano in realtà solo all’inizio?
Tra un imprevisto e l’altro, la ferratura di un mulo “il mulo tenta di scalciare, Cairati dice Sta ferm, scena abituale per chi conosce i muli. Nel frattempo arriva un prete con una quindicina di ragazzi che si fermano a curiosare. Il mulo tenta nuovamente di scalciare ed ancora un invito: Sta ferm…. Il mulo tenta di tirare una doppietta: Porcu D.., sta ferm…; il prete dice a Cairati di moderare le sue espressioni, Cairati lo guarda un istante, poi lascia la zampa del mulo, si avvicina al prete e gli mette in mano il martello… Alura, feral ti!
Il prete guarda il martello, guarda Cairati, guarda il mulo … poi posa il martello a terra e chiama: Andiamo ragazzi, andiamo …”
“Una serie di imprevisti ha trasformato quella che doveva essere quasi una scampagnata in una lenta processione con debite soste alle diverse cappelle e rituale recita di quelle che non erano proprio litanie. La causa è stata la mula, ma nessuno se l’è presa con lei, sappiamo tutti che, come gli uomini, anche gli animali possono star male e soffrire. Quest’oggi una delle nostre “jeep a pelo” ha fuso il motore”.
Il finale è purtroppo un finale “classico”.
Colgo l’occasione di questo finale per invitare le numerosissime e i numerosissimi “mangiatori di carne” ad approfondire la tematica dell’impatto degli allevamenti intensivi sul riscaldamento globale e dunque sui cambiamenti climatici in atto.
Grazie Renato per questo bellissimo racconto.
Buona lettura! Francesca
Capita …
Nel racconto In taberna ho accennato ai muli degli alpini, alle Salmerie, secondo la definizione ufficiale, e mi venuta in mente quella giornata no dovuta ad un mulo, anzi, ad una mula, una sola.
È stata una di quelle giornate in cui tutto gira male e devi risolvere problemi che non ti attendevi. Giungono per caso queste giornate no, le giornate in cui, in modo improvviso, ti cade addosso una serie inaspettata di fatti casuali, negativi per l’attività che hai in programma, e tu devi tirarti su le braghe da solo, come si dice in gergo. Nessuno ti ha insegnato come devi comportarti e non hai esperienza in materia, perciò ti affidi all’inventiva e in qualche modo te la cavi.
Però, quando si avvicina la sera, non vedi l’ora che giunga il domani perché, per oggi, ne hai avuto abbastanza.
Quella volta che …
Oggi tocca a me tirarmi al seguito i muli, che fino a ieri sono stati affidati al S.Ten Fassi, da poco assegnato alla nostra compagnia, e adesso eccomi qua, fermo a bordo strada. Questa mattina siamo partiti da Valtournenche per scendere a Maën e salire alla Finestra d’Ersa: mille metri di dislivello, cioè quattro ore a prenderla comoda.
Siamo partiti verso le sei del mattino e ci siamo avviati lungo la strada regionale ma, dopo neppure mezz’ora siamo bloccati e, come ho già detto, eccomi qua: i muli fermi a bordo strada ed i miei alpini sparsi per i prati sottostanti, intenti a raccattare il raccattabile: Accidenti ai muli!
Non era trascorsa mezz’ora da quando avevamo lasciato Valtournenche che la Roma, una mula già anzianotta, ha dato un paio di sgroppate ed ha rovesciato buona parte del carico del basto giù per i ripidi prati a valle della strada. Aveva il carico dei viveri, che si sono comportati ciascuno secondo la sua natura: le uova, prive di spirito di avventura, si sono fermate subito ed ora mostrano il giallo sfacciato del loro tuorlo sul verde del prato, pronte per fornirci una frittata alle erbe. Le pesche, sono spericolatamente rotolate lontano, in più direzioni, le pagnotte hanno tentato di seguirle ma, meno agili, si sono presto stancate di correre. Solo il bottiglione dell’olio è rotolato via diritto, diritto contro l’unico sasso, un “termine di confini” che affiora sul prato. Il resto dei viveri è sparso alla rinfusa sulla breve scarpata sottostante la strada.
Sul basto c’era poca roba perché i conducenti conoscono la mula e sanno che non ce la fa a portare i carichi pesanti; adesso sono impegnati a trasferire sul basto di altri muli quanto resta del suo carico di viveri, tra poco riprenderemo la marcia.
Giunti a Maën lasciamo la strada asfaltata e, voltando a destra, imbocchiamo la mulattiera che risale il pendio boscato e conduce agli alpeggi di Facibellaz. Poco dopo, dalla coda, i conducenti mi fanno avvertire di fermarmi: la mula non vuole saperne di andare avanti. Faccio far sosta e raggiungo le salmerie: la mula ha ancora il basto in groppa, perciò la sola cosa da fare è quella di alleggerirla anche di quello; la sbastiamo ed il suo basto è caricato su un altro mulo, il cui carico è suddiviso tra gli altri muli. Altro tempo perso, io non mi preoccupo molto, ma gli alpini si: dovremmo arrivare in tempo per allestire la cucina e preparare il rancio con quello che abbiamo raccattato sui prati di Valtournenche, ma di questo passo …
Chiedo agli alpini di sopportare una tirata lunga e di attendere il rancio caldo con qualche ora di ritardo: tutti capiscono e le proteste si limitano a qualche sacramento all’indirizzo dei muli.
Si riprende il cammino ma, poco dopo aver superato l’Alpe Facibellaz, si pone un altro problema: la mulattiera è affiancata da due staccionate laterali che impediscono agli animali in transito di andare a pascolare nei prati riservati allo sfalcio. Ma queste staccionate impediscono pure il transito ai nostri muli imbastati: dovrei fa scaricare tutti i basti a più di venti muli e richiudere gli arcioni portacofani laterali, poi trasferire i muli oltre la strettoia, far trasportare a spalla i carichi, imbastare nuovamente tutto … e perdere almeno un’altra ora.
Do un’occhiata alle staccionate: pali di legno infissi nel terreno con stanghe al traverso e mi viene un’idea. L’Alpe Facibellaz è la sola che abbiamo toccato, ormai è in basso e, quando siamo passati, non c’era nessuno; la carta non indica la presenza di altri alpeggi a monte, tuttavia mando in esplorazione un paio di alpini per vedere se vi sono persone che custodiscono animali al pascolo o fanno fieno o altro: da lontano mi fanno segno che non c’è nessuno. Allora ordino di tirar fuori la vanghetta, quell’arnese che è definito “attrezzo leggero” ma che leggero non è proprio; con questa faccio scalzare i pali di sostegno della staccionata destra; appena pronti, gli uomini, ben distribuiti lungo la staccionata, al comando, tutti insieme la sollevano e la adagiano a terra. Facciamo passare i muli e rimettiamo in piedi la staccionata. Reinseriti i pali nelle loro sedi, riempiamo i buchi e pestiamo il terreno per consolidare il suolo attorno ai pali.
Riprendiamo il cammino, accompagnati dai ragli della povera Roma che, ogni tanto, impreca nella sua lingua contro la naja che la obbliga a quella sfacchinata.
Finalmente raggiungiamo la bella mulattiera che dal Lago di Cignana prosegue quasi pianeggiante verso la Finestra d’Ersa.
Sono ormai le due quando raggiungiamo la Finestra, poi la mulattiera inizia a scendere facili pendii prativi e poco dopo, raggiunto un poggio in vista dei tetti di Torgnon, ordino l’alt.
Sostiamo su di una terrazza erbosa che, verso valle, prosegue con pendii a prato fino al paese e verso monte è cinta da un bel bosco di abeti. Sì, questo sembra un bel posto per fare tappa: nel ruscello scorre acqua pulita ed abbondante, sufficiente per le necessità di uomini ed animali, mentre il bosco vicino ci fornirà legna da fuoco; nel prato pianeggiante rizzeremo le tende e, ad una certa distanza e sottovento, potremo piantare il filare per i muli.
Mentre gli uomini preparano l’accampamento, chiedo ai cucinieri cosa manca per preparare il rancio: prepareranno minestrone e carne alla griglia, serve legna per il fuoco e olio per “la bagna” della carne, visto che quello che avevano è andato a condire l’erba della Valtournenche.
Chiamo un caporal maggiore e gli dico di scegliere un paio di uomini dalle gambe veloci e con loro scendere a Torgnon per acquistare l’olio e quanto altro gli indicheranno i cucinieri.
Nel frattempo preparo un messaggio che dovrà trasmettere telefonicamente all’Aiutante Maggiore del Battaglione: È richiesto un autocarro biga che deve raggiungere Torgnon per caricare la mula Roma, sofferente, e ricondurla in caserma. Il Caporale deve fare la spesa, attendere conferma dal Comando e poi ritornare.
I tre si avviano, i due cucinieri si fanno aiutare per accostare due grossi sassi che reggeranno la marmitta e la griglia che servirà per la carne alla brace; gli alpini hanno raccolto legna secca nel bosco, il fuoco è acceso, il cuoco e l’aiutante hanno lavato le verdure e stanno preparandole sul tagliere … finalmente tutto va come si deve!
Raggiungo le salmerie per osservare l’alpino Cairati che sta mettendo il ferro al posteriore sinistro di un mulo che l’ha perso per via. Due conducenti tengono il mulo per la cavezza, Cairati ha già sollevato la zampa e l’ha appoggiata nel cavo della coscia, ora presenta il ferro e comincia la chiodatura, il mulo tenta di scalciare, Cairati dice Sta ferm, scena abituale per chi conosce i muli. Nel frattempo arriva un prete con una quindicina di ragazzi che si fermano a curiosare. Il mulo tenta nuovamente di scalciare ed ancora un invito: Sta ferm ….
Il mulo tenta di tirare una doppietta: Porcu D.., sta ferm …; il prete dice a Cairati di moderare le sue espressioni, Cairati lo guarda un istante, poi lascia la zampa del mulo, si avvicina al prete e gli mette in mano il martello … Alura, feral ti!
Il prete guarda il martello, guarda Cairati, guarda il mulo … poi posa il martello a terra e chiama: Andiamo ragazzi, andiamo …
Stiamo ancora ridendo quando sentiamo un botto secco, come un colpo di pistola e poi, dalla zona cucina, giunge uno sfrigolare ed una nuvola di vapore, seguita da imprecazioni che il prete, per sua fortuna ormai lontano, non può sentire.
Vado a vedere: uno dei massi che reggono la marmitta si è spaccato in due, la marmitta si è rovesciata e l’acqua ha spento il fuoco.
Guardiamo il masso spezzato: è tagliato netto lungo la vena ed una parte si è rovesciata facendo perdere l’equilibrio alla marmitta. Chiedo al cuoco se la minestra era già avviata, per fortuna non ancora, quella che è andata perduta era solo acqua calda.
Si ricomincia … ma prima chiedo agli alpini se tra di loro c’è un cavatore o un muratore che si intenda di sassi, ne saltano fuori un paio; li mando a cercare un “sasso da fuoco” e poco dopo quattro o cinque alpini tornano facendo rotolare un altro masso di giusta qualità e misura.
Torna il Caporal Maggiore con l’olio (che ho pagato di tasca mia, come pure la telefonata al Comando) e mi riferisce che domani mattina l’autobiga verrà a Torgnon per prelevare la mula.
Finalmente, sono le cinque passate, si può distribuire la cena che, grazie anche alla fame, è risultata molto buona.
Una serie di imprevisti ha trasformato quella che doveva essere quasi una scampagnata in una lenta processione con debite soste alle diverse cappelle e rituale recita di quelle che non erano proprio litanie. La causa è stata la mula, ma nessuno se l’è presa con lei, sappiamo tutti che, come gli uomini, anche gli animali possono star male e soffrire. Quest’oggi una delle nostre “jeep a pelo” ha fuso il motore.
Domani mi separerò dai muli, che scenderanno a Torgnon e proseguiranno per la Valle di Saint Barthlemy attraversando valichi di bassa quota, mentre noi saliremo in alto, dove loro non potranno seguirci. La Roma si fermerà per essere prelevata dall’autobiga. Il suo conducente dovrebbe andar via con lei ma penso che non posso lasciare il conducente da solo in attesa dell’automezzo, quindi devo scegliere uno che lo accompagni. Mi faccio indicare dal Caporal Maggiore Cucciola, il comandante dei conducenti, i due più scarsi, due che fanno fatica a tenere il passo; quando mi sentono dire che domani la mula sarà affidata a loro e che, scesi a Torgnon si dovranno fermare per rientrare ad Aosta con l’autobiga della mula mi guardano sorpresi, poi sorridono … hanno capito che, forse, quando saranno ad Aosta nessuno ordinerà loro di ritornare al campo.
Qualche giorno dopo, concluso un lungo giro per la Valle di St. Barthlemy, scendiamo a Fenis, dove ci accampiamo in prati non lontani dal Castello. Durante uno dei giorni di sosta giunge il Tenente Busca, l’Ufficiale Veterinario, che viene a visitare i muli della compagnia.
Gli chiedo notizie della mula Roma: È stata riformata, la comprerà qualche macellaio appena andrà all’asta.
Macugnaga, luglio 2012
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