Diceva Bernardo di Chartres che noi “siamo come nani sulle spalle di giganti” e per questo possiamo vedere più cose e più lontane: non tanto per l’acume della vista ma “perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti”.
Diversi secoli dopo qualcuno disse “chi più in alto sale, più lontano vede. Chi più lontano vede, più a lungo sogna” (W. Bonatti).
Dunque le montagne, i nostri amatissimi giganti, ci aiutano a cambiare prospettiva per avere una visione più ampia e, in fondo, anche più vera: sicuramente del paesaggio, probabilmente della vita!
Lasciamoci condurre dal Capitano Cresta in questo viaggio sulle alture di Genova ma non dimentichiamo, alla fine, che il cammino è anche introspettivo, meditativo e un po’ filosofico: partiamo allora dalla diga foranea per arrivare a Spianata Castelletto e quindi a Righi, dove “il mare è dilatato” e dove si dilatano anche i pensieri.
“E chi va in montagna cosa vede? ” Ciascuno può dare la propria risposta o, meglio, le proprie infinite risposte: una per ogni emozione di ciascuna escursione. E ” non importa se non siamo riusciti ad esprimere in immagine quel qualcosa che abbiamo provato: l’importante è aver provato qualche momento d’incanto”.
L’incanto ci può venire provocato dall’arte: “il muro in pietra, parzialmente celato dalla neve, è un soggetto genuino, ma è poco pronunciato perché deve fare da cornice alla neve. È questa il vero soggetto del quadro, qualche metro quadro di una neve soffice su cui si ferma lo sguardo; una neve magistralmente resa grazie all’incantevole gioco di luci e di ombre che caratterizza l’intero quadro. Il titolo del quadro? La gazza. Eccola appollaiata sul cancello d’ingresso: è ridotta a tre macchioline nere, ma quelle piccole chiazze scure danno vita al paesaggio”.
Oppure, l’incanto può esser provocato dalle “semplici colline”: “Sono stato molte volte nelle Langhe ed ho trascorso molto tempo nell’Alto Monferrato: sono terre di umili colline poco elevate, dal profilo dolce, arrotondato dal tempo e dal lavoro dell’uomo. Le osservo, le contemplo dalla sommità di un poggio e mi rendo conto che non mi mettono la soggezione che mi pongono le montagne. Ma quando osservo la “fuga” dei vigneti, i campi coltivati, le cascine solitarie … tutto sembra messo lì per far penetrare nel mio animo un senso di pace, di serenità. I ciuffi di bosco suscitano sensazioni di mistero, segreti da scoprire perché i boschi sono ricchi di informazioni: Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà. (San Bernardo di Chiaravalle)”.
Quante cose vediamo e rivediamo lungo il cammino sulle montagne e lungo il cammino della nostra vita: la visione si può ampliare fino a darci pace e serenità. Fino a farci vivere l’incanto.
“Per questo osservo quanto esiste intorno a me convinto che, quando inforca gli occhiali giusti, la mia mente riesca a vedere un panorama dappertutto perché anch’io, come Henry David Thoreau, amo la natura, amo i panorami che ci regala, perché è così sincera. Non mi imbroglia mai. Non ci prende in giro mai. È allegramente e musicalmente seria”.
Percorriamola, studiamola e tuteliamola questa nostra Natura, con le sue bellezze, le sue preziosità, la sua biodiversità.
“La montagna mi ha insegnato a non barare, a essere onesto con me stesso e con quello che facevo” diceva Bonatti: chi di noi può dire di non aver bisogno di una tale Maestra di vita?
E ricordiamo: “la montagna più alta rimane sempre dentro di noi” (W. Bonatti).
Buona Montagna, buon incanto e buona tutela dell’ambiente montano!
Francesca Fabbri
Panorama, Paesaggio, Veduta
Dopo aver imbastito un racconto, è mia abitudine lasciarlo riposare qualche tempo, poi lo sottopongo sempre ad una attenta rilettura durante la quale vado a cercare la presenza di errori, refusi e frasi contorte da raddrizzare.
Ogni tanto mi capita pure di abbattere qualche periodo che ritengo pletorico, ma non sempre lo getto via, talvolta lo metto da parte perché quel periodo, che allungherebbe inutilmente il racconto, può a sua volta essere esteso e sviluppato sino a trasformarsi in un nuovo racconto.
Così, rileggendo Le mani sulla roccia mi sono accorto che l’argomento del panorama visto da terra o da un punto elevato poteva essere sviluppato come argomento di una considerazione, di una riflessione sul modo di vedere un panorama. Ecco come e quanto si sono allungate quelle due righe che avevo messo da parte. A queste nuove righe dovevo pur dare un titolo, così sono andato a cercare nel Dizionario dei Sinonimi ed ho trovato le tre parole del titoletto, sempre elencate nelle rispettive voci come sinonimi l’una dell’altra. Se una vale l’altra, mi son detto, allora lascio agli specialisti della lingua la ricerca delle differenze semantiche e della cerchia dei significati che i termini hanno in comune o che li differenziano e trovo un altro appellativo, un titolo che fa riferimento all’osservatore e non a quanto può essere osservato.
Punti di vista
Vorrei, insieme ai miei lettori, fare una prova del come possa cambiare l’effetto di una veduta in funzione della prospettiva, cioè della visione che si ha in rapporto al punto di vista nel quale si suppone situato l’occhio dell’osservatore, rispetto ai punti di fuga, nei i quali si collocano i particolari che prendiamo in considerazione.
Nel caso dei tre esempi che propongo lo sguardo è indirizzato lungo la stessa direzione, da terra verso il mare, ma da tre quote diverse: andiamo sulla Diga foranea, poi al Castelletto e, infine, saliamo al Righi. Qui giunti cerchiamo la differenza tra i tre punti di vista.
Dalla diga foranea abbiamo una visione piatta del mare, resta solo la visione del punto di fuga della diga a suggerirci la profondità, cioè la lunghezza dell’opera. L’immagine permette di percepire la solidità del manufatto che protegge dalla furia del mare le imbarcazioni ancorate in porto. Le sue dimensioni ci portano a pensare all’entità dei lavori ed alla loro difficoltà, ma il panorama, francamente, non ci dice granché.
Dalla Spianata di Castelletto la visione è più ampia, ma l’orizzonte del mare è limitato e, nella foto, appare schiacciato dal cielo nuvoloso, mentre il porto quasi non si vede.
Per contro, la prospettiva porta in primo piano i tetti in abèn d’ardesia che, con le diverse luci delle loro falde e la delicatezza dei loro contorni che scivolano verso terra, suscitano pensieri di casa/abitazione e ci ispirano impulsi di intimità, di protezione, di rifugio, di sicurezza.
La visione di un tetto può pure suscitare molte riflessioni sulla convivenza e sulla solidarietà o conflittualità tra quanti coabitano al suo riparo.
Eccoci al Righi: la prospettiva ci mostra molti edifici piccoli e lontani, capaci solo di indicarci dove termina la terraferma, oltre la quale si vede che c’è un porto ed il mare aperto. Il mare è dilato e spinto sino ad un orizzonte molto lontano. In porto e su quel mare vediamo imbarcazioni che ci invitano a salire a bordo per navigare sin dove il mare si fonde con il cielo e pure oltre, alla ricerca di nuove terre a noi sconosciute, di cui abbiamo solo inteso parlare.
Beh, forse chi dice che il panorama si deve osservare da un luogo sopraelevato non ha mica torto: il punto sopraelevato ha esteso la prospettiva e dilatato persino i nostri pensieri.
E chi va in montagna cosa vede? Oltre alle soddisfazioni connesse all’aspetto ludico o sportivo, chi va in montagna cerca di innalzarsi per raggiungere “il punto elevato” da cui osservare panorami del terzo genere, panorami con orizzonti da raggiungere, orizzonti da cui puoi vedere un nuovo paesaggio e da questo un altro e così daccapo. Sono panorami che, sovente, fissiamo in fotografie che, un tempo, raccoglievamo in un album ed ora archiviamo nella memoria del cellulare o di un computer.
Ma, ammettiamolo, quante volte abbiamo fotografato un paesaggio e poi … che delusione!
Fotografare un paesaggio è una prova apparentemente facile per il fotografo: il panorama è lì e non si muove; ma, sovente, la foto non dice niente di quel panorama così bello ai nostri occhi.
La fotocamera, impassibile, ferma in immagini quello che vede, mentre noi, quando osserviamo un paesaggio, lo interpretiamo avendo sempre davanti agli occhi un filtro di poesia, un filtro incantato capace di suscitare in noi qualche sensazione gradevole, qualche suggestione. Non importa se non siamo riusciti ad esprimere in immagine quel qualcosa che abbiamo provato: l’importante è aver provato qualche momento d’incanto.
Quando osservo un panorama cerco di coglierne sia l’insieme, sia quegli aspetti più interessanti che lo caratterizzano. Talvolta mi sono imbattuto in “panorami capolavoro”, quei panorami che continui a ricordare anche quando non sei più davanti a loro, anche anni dopo.
Ricordo bene il paesaggio che ho ammirato dalla vetta del Monte Bianco: tante montagne bianche ammassate intorno a me, montagne che, pur essendo più basse, quasi non mi lasciavano respiro. Emozionante, certamente sì, ma mi aspettavo che mi dicessero anche qualcos’altro.
Per contro ricordo con maggior emozione la veduta che ho osservato dalla Death Horse Point (Punta del Cavallo Morto, presso Moab – Utah). Una veduta a 360°, uno scenario di spazio infinito che si dilatava in ogni direzione, tanto vasto che neppure il grand’angolo della macchina fotografica riusciva a contenere ed anche gli occhi giravano in continuazione senza trovare mai il margine laterale del panorama. Una veduta color rosso mattone che sprofondava in un pozzo striato di gialli, rosa, arancio delle stratificazioni del Grand Cañon, un pozzo che, settecento metri più in basso, era solcato dalle fasce verde chiaro degli affioramenti di un giacimento di minerale di rame.
Tutti i giorni di cielo sereno, dalle finestre di casa mia vedo la vetta del Monte Rosa, una visione che si spinge per 3300 metri verso l’alto eppure non ha mai suscitato in me la sensazione che ho ricevuto nella Yosemythe Walley mentre osservavo el Capitan, la Sentinel, l’Half Dome. Vedevo un tunnel di pareti verticali di granito, lisce come muri intonacati, sulle quali non riuscivo ad identificare una via di salita, una via di fuga che, forse, era in fondo a quel tunnel di pietra.
Poco dopo, nel bar del lodge, ho visto cartoline che titolavano Yosemythe Walley Tunnel Wiew il panorama che avevo appena ammirato. Qualcuno, prima di me, aveva avuto la stessa sensazione: quello è un gigantesco tunnel nella roccia.
Fino all’invenzione della fotografia, le rappresentazioni pittoriche davano scarsa rilevanza al paesaggio, era solo un fondale che riempiva spazi vuoti intorno a soggetti standard: ritratti o scenari religiosi. Quando, nella seconda metà dell’800, compaiono le prime riprese fotografiche i fotografi continuano a ritrarre le persone, ma compaiono pure i primi panorami in bianco e nero.
I critici d’arte diranno che non è assolutamente vero, ma a me sembra quasi che siano queste immagini di panorami a dar vita all’impressionismo francese ed alle sue rappresentazioni pittoriche. Adesso si dipingono istanti dell’impressione visiva strappati alla quotidianità, semplici e sicuramente poco convenzionali. Spesso il soggetto è solo un paesaggio di modesto interesse, ma l’artista vi ha incluso uno scorcio, ripreso con una visuale prospettica capace di sintetizzare ciò che si vede, ed ha creato un capolavoro.
Osserviamo questo quadro di Claude Monet: il panorama vero e proprio è sullo sfondo, ma è ripreso dal basso e risulta talmente lontano ed indistinto da quasi non vedersi.
Trovo invece bellissimo lo scorcio in primo piano: il muro in pietra, parzialmente celato dalla neve, è un soggetto genuino, ma è poco pronunciato perché deve fare da cornice alla neve. È questa il vero soggetto del quadro, qualche metro quadro di una neve soffice su cui si ferma lo sguardo; una neve magistralmente resa grazie all’incantevole gioco di luci e di ombre che caratterizza l’intero quadro.
Il titolo del quadro? La gazza. Eccola appollaiata sul cancello d’ingresso: è ridotta a tre macchioline nere, ma quelle piccole chiazze scure danno vita al paesaggio.
È sicuramente vero che l’ampiezza del panorama concorre fortemente a suscitare emozioni, a far sorgere il desiderio di raggiungere quell‘orizzonte da cui sarà possibile vedere un nuovo panorama … come ho detto all’inizio, ma non preoccupiamoci più di tanto. Ripeto ancora: osserviamo con attenzione ed esercitiamo l’occhio a vedere sia l’insieme, sia il particolare e potrebbe capitare di accorgerci che quest’ultimo può valorizzare un panorama scialbo.
Sono stato molte volte nelle Langhe ed ho trascorso molto tempo nell’Alto Monferrato: sono terre di umili colline poco elevate, dal profilo dolce, arrotondato dal tempo e dal lavoro dell’uomo.
Le osservo, le contemplo dalla sommità di un poggio e mi rendo conto che non mi mettono la soggezione che mi pongono le montagne. Ma quando osservo la “fuga” dei vigneti, i campi coltivati, le cascine solitarie … tutto sembra messo lì per far penetrare nel mio animo un senso di pace, di serenità.
I ciuffi di bosco suscitano sensazioni di mistero, segreti da scoprire perché i boschi sono ricchi di informazioni: Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà. (San Bernardo di Chiaravalle).
Molte volte ho scelto la strada da percorrere per un viaggio in automobile non in base alla velocità di percorrenza od alla comodità di guida, ma secondo l’attrattiva del panorama che avrei potuto osservare strada facendo.
Così un giorno, mentre sono in viaggio attraverso le risaie del Vercellese, mi accade di fermare l’automobile e scendere per contemplare un panorama al quale quasi non credo: È il Monte Rosa che si specchia in una risaia o è la risaia che ha catturato il Monte Rosa?
Mentre scrivo queste note posso voltare il capo verso destra ed osservare il Monte Rosa, ma da quaggiù fa un altro effetto.
Duemila anni fa Marco Aurelio ha detto: Non limitarti a guardare una sola cosa e da un solo punto di vista: volgiti anche ad altre e osservale bene.
Per questo osservo quanto esiste intorno a me convinto che, quando inforca gli occhiali giusti, la mia mente riesca a vedere un panorama dappertutto perché anch’io, come Henry David Thoreau,
Amo la natura, amo i panorami che ci regala, perché è così sincera. Non mi imbroglia mai. Non ci prende in giro mai.
È allegramente e musicalmente seria.
Macugnaga, aprile 2023
(tutte le foto sono tratte da siti Internet senza indicazione dell’autore)