Vi proponiamo un nuovo articolo redatto dal nostro Socio e membro del Comitato Scientifico professor Enrico Martini corredato da fotografie scattate dallo stesso. “Osservando un paesaggio, se ne può ricavare un’impressione di staticità; la realtà può essere ben diversa anche perché i cambiamenti, con le dovute eccezioni (esempio: frane), possono essere incredibilmente lenti”. Con questo incipit il noto scienziato divulgatore riassume il senso e l’obiettivo del suo scritto, riassume il suo intento: aiutarci a vedere quello che abbiamo davanti agli occhi e a leggere il paesaggio, svelandoci che quello che sembra fermo in realtà (con tempi lunghi) si muove, e si muove pure a velocità differenti. A me questo fa tornare alla mente il mito platonico della caverna, che se non conoscete o ricordate vi invito a leggere (Platone, “La Repubblica”, libro VII, edizioni varie). Il motore dei movimenti è la natura stessa della nostra Madre Terra: il suo nucleo “di fuoco”, il sovrastante mantello e le placche che in qualche modo a mo’ di grandi e pesanti zattere ”galleggiano” sul mantello. Dunque queste zattere galleggianti - coi loro diversi pesi e con differenti tempi - si muovono provocando terremoti, sollevamenti orografici, subduzioni, aperture di oceani e anche eruzioni vulcaniche. Ma …chi ci può raccontare questo lontano passato e chi può anticiparci cosa accadrà tra 30 o 40 milioni di anni (“milione più, milione meno” come scrive il professore)? Grazie Enrico per la generosità instancabile con la quale divulghi la scienza, aiutando tutti noi a vedere con lenti “nuove” la preziosità del paesaggio come anche riconosciuto e tutelato dall’articolo 9 della nostra Costituzione troppo spesso “dimenticata” o, forse, “tradita”. Buona lettura e …buona visione! Francesca Fabbri
ASCENSORI CICLOPICI
Enrico Martini
Osservando un paesaggio, se ne può ricavare un’impressione di staticità; la realtà può essere ben diversa anche perché i cambiamenti, con le dovute eccezioni (esempio: frane), possono essere incredibilmente lenti. Un esempio.
La provincia è quella di Treviso; la zona che ci invia messaggi silenziosi è prossima al centro abitato di Montebelluna, a nord-est del quale si estende la collina del Montello, teatro di sanguinosi scontri tra italiani e austriaci durante la prima guerra mondiale (vi morì l’aviatore Francesco Baracca, ucciso dopo aver vinto 34 duelli contro aerei nemici).
Ho già avuto occasione di scrivere e di spiegare che la regione dolomitica si sta spostando lentissimamente verso la pianura veneta, dove arriverà tra 30 o 40 milioni di anni (milione più, milione meno), ridotta ad una serie di tante collinette, “piallate” da processi erosivi. In questa migrazione le Dolomiti già ora sono precedute da avanguardie montane (come la dorsale Monte Cesén – Col Visentin) e collinari, che vi mostro nelle immagini che seguono, sfruttando anche l’ottimo volume del TCI “Atlante geografico ‘Italia’”. A nord del complesso dolomitico, fortemente ridimensionato in altezza, è verosimile che finisca con l’estendersi, in un futuro lontanissimo, un braccio di mare da cui, in tempi successivi, sorgeranno nuove serie di montagne (la Terra è un pianeta che vive e si trasforma, geograficamente parlando, sia pure con incredibile lentezza).
Eccovi parte delle colline a sud della dorsale Monte Cesén – Col Visentin
L’immagine che segue vi mostra la già citata collina del Montello, l’avanguardia più avanzata delle masse in trasferimento verso la pianura veneta.
Focalizziamo la nostra attenzione sull’immagine che segue: vi sono raffigurate il tratto occidentale del Montello e una collinetta, quella “del Mercato Vecchio”, posta più ad ovest, separate da un’area quasi pianeggiante.
Dovreste notare due indizi, uno relativo alla stessa collina del Montello.
Avete notato che il crinale della collina, nello scendere verso ovest, presenta un’alternanza di tratti più o meno pianeggianti e di scarpate ripide? Vi aiuto sfruttando il programma “Paint”.
Non si tratta di un effetto dovuto alla compresenza di rocce differenti, tenere e dure: il Montello si sta davvero alzando “a scatti” (intendiamoci, ogni scatto deve essersi realizzato in migliaia di anni). Le scarpate corrispondono a fasi di accelerazione dei sollevamenti – la più antica è quella più alta, prossima alla sommità del crinale -, i pianori a periodi di stasi.
E il territorio circostante? Veniamo al secondo indizio: ce lo offre l’area che separa il Montello dalla collinetta “del Mercato Vecchio”. Non vi sembra logico ipotizzare che le due aree collinari un tempo fossero collegate e costituissero un tutto unico? Che in tempi remoti si sia creata una frattura che le abbia allontanate? Poco probabile che la primattrice sia stata lei, la “colpa”, però, deve essere stata sua. Mi spiego. Quella che sembra una pianura con edifici e campi coltivati è in realtà una specie di piano inclinato, in salita nel senso della freccia che ho tracciato (visibile nell’immagine che segue): un’area pure lei in sollevamento, certo a velocità assai minore.
Cosa avrà provveduto ad incidere un tratto collinare probabilmente unico? Una frattura deve essersi verificata, ed anche uno scorrimento di una parte fratturata rispetto all’altra: una faglia che, triturando le rocce lungo la linea di contatto, ha creato una zona profonda, fragile e in erosione attiva. Chi ha approfittato di questa “debolezza” del substrato? Il fiume “sacro alla Patria”: il Piave.
Tramite un paio di immagini, tento una sintesi finale, con un tracciato che indichi quale poteva essere l’antico decorso del Piave; da ultimo la situazione attuale.
Arrivederci ad un altro argomento.
Enrico