Con questo racconto di Renato Cresta facciamo un altro viaggio nel tempo e nello spazio.
Siamo in Val d’Aveto in un’autunnale giornata di pioggia e nebbia: e dal Passo del Bocco gli escursionisti si avviano al Rifugio Pratomollo.
La salita al rifugio è un’occasione di meditazione sulla natura: “una nebbia che delicatamente disegna la veduta senza sconvolgere lo scenario, che nasconde senza far scomparire, nebbia che amichevolmente ti avvolge, si apre per farti passare, ti scivola addosso, ti accarezza le guance e si infila sotto il colletto solleticando il collo con un brivido di freddo e, quietamente, si ricompatta dopo il tuo passaggio”.
Scoli e zuppi si arriva al Rifugio, sotto lo sguardo di un gestore abbastanza stupito da tanta costanza. Ci si asciuga e scalda al calore del fuoco e poi si pranza: “il pranzo è “ottimo e abbondante”, allegro e animato. È piacevole sentirsi al riparo da quanto accade fuori e, nel contempo, avvertire il calore del fuoco che si unisce al calore dell’amicizia che ci lega”. Tutte e tutti ci ritroviamo con un sorriso in questa sensazione di protezione e amicizia che sa donare il rifugio, ogni rifugio: quel posto dove si sta così bene da non sentire la mancanza delle “comodità” che non ci sono!
E dopo il pranzo, le chiacchiere e le risate in compagnia, giunge il tempo del ritorno: “il cammino del ritorno, sempre sotto la pioggia e reso intrigante dalla nebbia, è disagevole perché il sentiero, nascosto dalle erbe curvate dalla pioggia, è poco evidente e scivoloso; se urti un ramo ti cade addosso uno scroscio d’acqua. La nebbia ti cela ogni cosa”. Eppure “la Renata” riesce a scovare funghi in quell’indistinto nascosto, mentre Renato si ferma e osserva una ragnatela “messa in bella evidenza dalle gocce d’acqua che sono state catturate dalla tela”.
Ed ecco che un’escursione “disagevole” fatta di pioggia, nebbia e rischio di scivolate diventa un’occasione di fusione con la natura, anche grazie ai profumi che la pioggia sa donare: “sono proprio la pioggia e la nebbia a farmi percepire la sensazione di fondermi con gli elementi della natura”.
Andare per monti, Alpi o Appennini che siano, non è mai una mera sfida con l’Alpe: è un’occasione per conoscere meglio noi stessi e la natura di cui facciamo parte, apprezzandone gli aspetti più nascosti e imparando a comportarci nel modo più adeguato anche al fine di ridurre al minimo i rischi.
“So che non è possibile, eppure penso a quanto mi piacerebbe tornare a ripetere quella gita, nelle stesse condizioni di tempo, per rinnovare quelle immagini quasi senza colori eppure così affascinanti, per cogliere ancora quegli odori così penetranti, per ritrovare l’allegria di una giornata uggiosa durante la quale la nostra giovane età ha trasformato il tedio in allegria”.
Arrivederci al prossimo racconto!
Buona lettura!
Francesca Fabbri
Ægua e négia
Terminate le ferie agostane, a settembre il nostro gruppo si è ricompattato ed ha ripreso il suo programma di camminate su per i monti. Per fine ottobre il programma prevede un’escursione di chiusura della stagione escursionistica; andremo ad un rifugio nell’entroterra di Chiavari; non ne ricordo con certezza il nome, forse era il Rifugio a Pratomollo, nella zona del Monte Penna, entrambi mai sentiti nominare prima d’ora.
Quando saliamo sul pullman pioviggina appena, ma quando lasciamo la riviera per salire verso i monti incontriamo la pioggia tipica della Liguria, una pioggia non violenta, ma regolare, continua, insistente, ostinata.
Le curve della strada che sale al Passo del Bocco riescono a trasformare in uno shaker il nostro vecchio autobus, che faticosamente raggiunge il Passo del Bocco, dove inizia il sentiero che dovremo percorrere.
È il momento delle esitazioni:
– Amìa che ægua.
– Anemmo anche se ciêuve?
– E alloa cose femmo, ti vœ passâ ‘na giornâ in pullman?
Giorgio ed io diamo l’esempio indossando le nostre nuove mantelle di plastica, appena messe in commercio, e tutti mettono addosso quello che hanno a protezione dalla scontata annacquata.
Camminiamo sotto la pioggia entro attraenti boschi misti di pini e abeti, boschi che osservo sotto le raffiche di pioggia, raffiche non violente che provocano lo stesso rumore di un vento leggero, quasi uno stormire tra gli alberi. Pioggia che scivola sui rami e gocciola dal tendaggio “a mantovana” degli abeti, pioggia che appesantisce le erbe più lunghe, che si flettono sul sentiero ed efficacemente collaborano con gli arbusti per inzupparci calzettoni e pantaloni alla zuava.
Pioggia sottile ed insistente ed anche nebbia, una nebbia a banchi che ora occulta, ora rivela, ma non tutto, e subito nuovamente nasconde, che provoca in me una seducente sensazione di quiete, di isolamento.
Una nebbia che delicatamente disegna la veduta senza sconvolgere lo scenario, che nasconde senza far scomparire, nebbia che amichevolmente ti avvolge, si apre per farti passare, ti scivola addosso, ti accarezza le guance e si infila sotto il colletto solleticando il collo con un brivido di freddo e, quietamente, si ricompatta dopo il tuo passaggio.
Che strano elemento la nebbia: è fatta di finissime gocce d’acqua, quindi è un liquido, ma queste gocce sono disperse nell’aria, quindi è una sostanza gassosa, … no, è un po’ delle due cose messe assieme, è un liquido polverizzato nell’aria, quindi quello che respiri è un aerosol di acqua e aria.
Vallo a sapere!
Ricordo gli occhi del rifugista e di sua moglie, spalancati dallo stupore quando ci vedono entrare nel rifugio, stillanti acqua come grondaie bucate dalla ruggine.
Pochi istanti dopo un gigantesco camino illumina e riscalda lo stanzone al piano terreno e tutti iniziano a spogliarsi per fare asciugare i panni. Mantelle e giacche a vento hanno protetto bene la parte superiore del corpo e lo zaino ma le gambe hanno strusciato contro erbe ed arbusti ed i calzettoni e la parte inferiore dei pantaloni alla zuava sono zuppi d’acqua.
Poco esperto, ma già previdente, ho con me un paio di calzoni corti e calzettoni di ricambio, così non ho problemi a rivestirmi di panni asciutti, mentre il resto del gruppo trova presto la soluzione: tutti si tolgono i calzoni e, infilate le gambe nelle maniche dei maglioni, calzano un prototipo di calzamaglia.
La lana aderisce bene al corpo e, gradita sorpresa, scopro che alcune ragazze hanno degli splendidi “retro”, solitamente occultati da bragoni di due taglie più grandi.
I due gestori del rifugio si sono letteralmente fatti in quattro per soddisfarci: l’ambiente è presto riscaldato dal fuoco del camino mentre dalla cucina cominciano a giungere le prime ondate degli aromi che esalano da pignatte e casseruole.
Il pranzo è “ottimo e abbondante”, allegro e animato.
È piacevole sentirsi al riparo da quanto accade fuori e, nel contempo, avvertire il calore del fuoco che si unisce al calore dell’amicizia che ci lega.
Il cammino del ritorno, sempre sotto la pioggia e reso intrigante dalla nebbia, è disagevole perché il sentiero, nascosto dalle erbe curvate dalla pioggia, è poco evidente e scivoloso; se urti un ramo ti cade addosso uno scroscio d’acqua. La nebbia ti cela ogni cosa. Una nebbia simile, mi dicevo, l’ho già vista una volta, proprio in città, una mattina mentre andavo a scuola; ma allora camminavo sul marciapiede e riuscivo a riconoscere le case.
Nelle ultime ore di un nebbioso pomeriggio di fine ottobre lo sguardo non riesce a spingersi sino a panorami lontani; i colori autunnali, già stinti dalla nebbia, sono ormai spenti del tutto; puoi limitarti ad osservare solo le piccole cose vicine. e lo scenario si riduce ai dettagli, che appaiono improvvisi e sembrano più interessanti del solito.
Quando mai, in un giorno di bel tempo, mi sarei fermato per osservare una ragnatela, oggi messa in bella evidenza dalle gocce d’acqua che sono state catturate dalla tela?
Chissà dove si è rifugiato il ragno!
La bruma apre i sensi alle percezioni: giunge al naso un sentore di terra bagnata, un profumo di resina, di delicatezze di muschio, odore di funghi, …
Anni dopo scoprirò che gli scienziati chiamano petricore questo aerosol che si leva al frantumarsi delle gocce di pioggia che impattano sul suolo e disperdono nell’aria minuscole gocce d’acqua che includono microscopici frammenti di terra, di vegetali, di sostanze che trasmettono alle mucose queste piacevoli percezioni odorose.
Oggi tutto è diverso, tutto appare incerto e per questo affascinante; sono proprio la pioggia e la nebbia a farmi percepire la sensazione di fondermi con gli elementi della natura.
A tratti riesco ad osservare il comportamento di chi si muove davanti a me: controllo la Renata ¹ mentre lascia il sentiero e, per qualche momento scompare … quando ricompare ha in mano alcuni funghi Pinaroli, molto simili al Boleto classico, ed egualmente saporiti. Mi chiedo solo come abbia fatto a scorgerli!
È stata una delle tante escursioni autunnali ma, di quella gita, conservo ancora il ricordo del profilo dei monti della Liguria sfumati nella nebbia che, ogni tanto, ne lasciava appena trasparire le vette arrotondate.
So che non è possibile, eppure penso a quanto mi piacerebbe tornare a ripetere quella gita, nelle stesse condizioni di tempo, per rinnovare quelle immagini quasi senza colori eppure così affascinanti, per cogliere ancora quegli odori così penetranti, per ritrovare l’allegria di una giornata uggiosa durante la quale la nostra giovane età ha trasformato il tedio in allegria.
So bene che non posso ripetere quella gita, ma riesco ancora a custodire la memoria dei boschi autunnali inzuppati d’acqua, la proiezione mentale delle raffiche di pioggia che vedevo rigare diagonalmente il campo visivo, lo spettacolo delle erbe piegate sotto il peso dell’acqua.
Ho ancora nel naso il profumo del muschio secco che si risveglia ed avidamente assorbe quell’acqua che gli ridà vita, della borraccina, che noi chiamiamo erba cocca, che mi ricorda il Natale che si avvicina.
Durante il cammino di ritorno ho indossato le brache corte così, risalito sul pullman, mi è stato possibile sostituire i calzettoni bagnati e vestire nuovamente i miei confortevoli calzoni di velluto che avevo fatto asciugare al fuoco del camino e riposto ben protetti nello zaino. È stato allora che Maja, una ragazza della comitiva, ha chiesto in prestito i miei calzoni corti che, seppur un poco umidi, erano molto più asciutti dei suoi pantaloni lunghi. È piccolina Maja, ma graziosa e ben fatta ed è uno spettacolo, tanto piacevole quanto raro per quei tempi, veder tanta grazia di Dio traboccare da quei pantaloncini, che le vanno piuttosto stretti.
Macugnaga, luglio 2012